Da secoli continua a raccontare la sua storia sui sentieri delle lepri nella vicenda primitiva e coinvolgente della seguita che altro non è se non l'arte più antica con il cane più ingenuo. L'Appennino ne ha plasmato le forme ed affinato le capacità, la natura gli ha miracolosamente conservato prerogative e doti che hanno avuto dall'ENCI il blasone di razza e la certezza del nome a conferma dell'origine. A vederlo, in quel suo aspetto gradevolmente rustico con muscoli ben evidenti non si fatica a credere sia stato inventato dal selvatico avuto in sorte perché, secolo dopo secolo, mantenessero nell'attualità una caccia autentica in cui entrambi sono protagonisti. Così il segugio dell'Appennino continua a conquistar ammiratori e simpatia per la bravura certamente grande e l'aspetto indubbiamente piacevole come lo sono tutti quegli esemplari che paiono aver avuto forma nella galleria del vento, hanno carattere mite ed aspetto gradevole. Gli abitanti di quelle terre amate ed avare impararono presto a tutelare il "loro" segugio tantoché già nel 1882 in un lungo scritto su "La Caccia", giornale illustrato che ha fatto la storia dell'arte cinegetica, viene annoverato fra le razze da seguita. L'avvocato Filippo Zacchini, allevatore e segugista, nel 1932 ne delineava alcune caratteristiche che trovarono poi riscontro nello standard aggiungendo che si tratta di un "cane di piccola taglia, di eccezionali agilità e vivacità, tutto muscoli e nervi, senza alcuna pesantezza, di antica origine e di tipo ben fissato". Aggiungeva poi che "ha resistito ai più veri incroci ed anche soggetti un po' lontani dalla razza , accoppiati con soggetti tipici, riproducono assai bene il tipo con sorprendete fissità". Molte le doti di un ausiliare che caccia bene sia singolarmente che in coppia ed inoltre è un "sicuro accostatore, ottimo scovatore, grande inseguitore. Si trova particolarmente a suo agio nei terreni di montagna in quanto pur collegato al canettiere non necessita di essere accompagnato". Infine vive in simbiosi perfetta con il suo conduttore pur essendo di forte temperamento ed esagerata passione per la caccia.
Codice FCI | 901 |
Gruppo | 6 - SEGUGI E CANI PER PISTA DI SANGUE |
Sezione | 2 - SEGUGI E CANI PER PISTA DI SANGUE |
Varietà |
A - A PELO FORTE
B - A PELO RASO
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A cura di Valter Nencetti
Fin oltre la metà del secolo scorso, quello che oggi viene chiamato “Segugio dell’Appennino” è stato il cane protagonista indiscusso della caccia alla lepre su tutto il territorio nazionale, dalla Calabria fino alle regioni più estreme del Nord, sia di Levante che di Ponente .
Allevato libero fino a maturità, principalmente da coloni e mezzadri, era prima compagno di giochi, poi cane da guardia e soprattutto ausiliare per la caccia alla seguita: alla lepre in primis, ma anche alla volpe e al cinghiale, dove ne era la presenza.
Forgiato per la caccia alla lepre, usato quasi sempre a singolo o in coppia, questo segugio è stato da sempre selezionato unicamente per il lavoro, ponendo in secondo piano quelle parti della morfologia, come la colorazione del manto o delle mucose, o la lunghezza del pelo, non strettamente ad esso correlate.
Se le sembianze erano diverse per regione, distretto o paese, e ciò ne arricchisce la variabilità genetica, non lo era invece il lavoro che gli veniva richiesto, per il quale ovunque e da tutti si utilizzavano le stesse regole: il segugio, muto o con voce, sciolto la mattina in pastura, doveva riuscire, in breve e da solo, a scovare la lepre e inseguirla.
Queste regole semplici e sacrosante impongono quindi che i Segugi dell’Appennino debbano essere cani completi, capaci cioè, in piena autonomia se pur collegati al conduttore, di effettuare le 4 fasi canoniche della caccia alla lepre.
Tra i vari ceppi presenti nelle diverse aree italiane si nota comunque, per il profilo morfologico, una notevole uniformità dettata più dalle regole del lavoro che dal gusto estetico. Se si riesce a vedere oltre le diverse colorazioni e tipologie di mantello, scrutando ciò che realmente serve ed è fondamentale per il lavoro, noteremo che i cani che rappresentano veramente la razza, e soprattutto quelli particolarmente bravi, sono tutti dotati di fisici straordinari: leggeri, agili ed eleganti, essenziali, con muscoli salienti, ben costruiti, groppe dritte e tronco appena nel rettangolo. Simili strutture si adattano perfettamente a mantenere equilibrio fisico e velocità anche in terreni di montagna impervi e scoscesi.
L’altra caratteristica fondamentale, non di minore importanza, che caratterizza la razza è l’equilibrio psichico. La selezione, avvenuta senza l’impiego della consanguineità, accoppiando solo bravo x bravo, come dimostrano le ricerche effettuate sul DNA di alcuni soggetti, è stata indirizzata per quelle attitudini che sono indispensabili per il lavoro: forte temperamento ed esagerata passione per la caccia; collegamento e grande affezione per il conduttore; capacità di selezionare, fin da giovane, la selvaggina da cacciare e rispettarne l’altra, con particolare riguardo al capriolo; rientro dopo la seguita; ma soprattutto capacità di scovare anche nelle condizioni più difficili.
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